Dana White’s Contender Series, analisi lucida su Micol Di Segni

Mallory Martin def. Micol Di Segni by unanimous decision (30-27, 30-27, 29-28)

Alla fine è andata così. L’abbiamo seguita con grande hype durante le ultime settimane. Da italiani ci aspettavamo il tanto agognato botto che potesse convincere il grande boss Dana White a portarla in UFC. Tutto questo purtroppo non è avvenuto e, mettendo per un attimo il tifo da parte, riteniamo necessario analizzare in maniera lucida cosa non ha funzionato.

Il primo divario fra Micol Di Segni e Mallory Martin si è palesato dal punto di vista fisico. Molto più imponente la statunitense che, non a caso, ha dominato il match grazie alle sue skills nella lotta. Il segno distintivo che negli States probabilmente sono più abituati a tagliare il peso senza che questo incida nelle prestazioni.

Altro fattore determinante è stato lo striking. La Di Segni, da sempre propensa ad impostare i match sugli scambi in piedi, non è riuscita ad imporre il suo ritmo risultando spesso prevedibile. I suoi colpi, stranamente poco precisi, non hanno quasi mai impensierito l’avversaria e la ripetività delle combinazioni (uso quasi ossessivo solo di jab-diretto) hanno reso la vita facile alla Martin. Serviva quindi qualcosa di diverso. L’uso del gancio sinistro per esempio, scagliato solo un paio di volte a parete. Servivano i calci, che avrebbero spostato l’asse dei colpi e reso forse più incisivo lo striking con i pugni. Serviva maggiore movimentazione.

Ma non tutto però è da cestinare. Ci è piaciuto per esempio l’approccio avuto a terra, dove la Di Segni ha mostrato sempre di essere attiva portando colpi e districandosi bene da situazioni che potevano diventare difficili. L’italiana ha lavorato bene nei camping su questo aspetto ed è cresciuta molto.

Da qui bisogna in sostanza bisogna ripartire, con la consapevolezza che per emergere a questi livelli e rimanere nell’orbita UFC serve necessariamente un salto di qualità.

 

 

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