Giorgio Petrosyan, campione dentro e fuori dal ring: “Con le arti marziali diciamo no al bullismo”
Nella mattinata di mercoledì 19 Febbraio 2020, Giorgio Petrosyan è stato invitato a Palazzo Marino per partecipare come relatore al convegno “Crimini relazionali nell’era digitale” – promosso dalla Presidenza del Consiglio Comunale di Milano – dove ha potuto raccontare parte della sua vita ed esprimere il suo pensiero nei confronti del bullismo.
La storia di Giorgio è quella di un lottatore che combatte sin dall’adolescenza: nel 1999, all’età di 13 anni, si è rifugiato in Italia con il padre e il fratello maggiore, per fuggire dagli scontri tra Armenia e Azerbaigian che giorno dopo giorno chiamavano al fronte uomini e ragazzi in età militare a combattere per la contesa della zona del Nagorno-Karabakh, mettendoli dinanzi a morte certa, causa la mancanza di un’istruzione militare, alla quale provvedeva, fino a poco tempo prima, l’Unione Sovietica.
Giunti in Italia per pura casualità, nascosti a bordo di un camion, Giorgio e la sua famiglia hanno dovuto combattere contro numerosi pregiudizi, che non hanno permesso loro una facile integrazione nella società. Nel 2014, dopo aver vinto l’ennesimo titolo mondiale, e fatto risuonare l’Inno di Mameli all’interno del Palalottomatica di Roma, il fighter ha ottenuto la cittadinanza italiana per meriti sportivi, conferitagli dal Presidente Giorgio Napolitano.
Gli insegnamenti dei genitori, la dedizione di Giorgio nel suo sport e la disciplina che l’arte marziale del kickboxing impone e infonde all’atleta, hanno fatto di Petrosyan un modello di educazione e integrità, che non ha mai mancato di rispetto né agli avversari sul ring, né alle persone che ha incrociato nella sua vita. Per queste ragioni, il fighter ha deciso quindi di affrontare a muso duro la piaga del bullismo, posizionandosi in prima linea nella difesa dei più deboli, offrendo la sua disponibilità per allenare il corpo, ma soprattutto la mente.
“In molti pensano che gli sport da combattimento siano sport dove non vige alcuna regola, ma la spunti semplicemente chi picchia più forte. Non è così. Tutte le arti marziali insegnano il rispetto per gli altri e per se stessi, prima di ogni cosa.” Afferma il campione, proseguendo: “Il mio messaggio lo rivolgo anche ai genitori: trovate più tempo per i vostri figli, parlate con loro, capite i loro problemi e, se lo ritenete opportuno, portateli nelle nostre palestre dove insegneremo loro la disciplina, l’educazione, il rispetto, e a combattere come atleti sul ring, non come bulli per le strade”.